LO SCUDETTO DEL 2009 – ERIKA STRIULLI

L'INTERVISTA ALLE GIOCATRICI: ERIKA STRIULLI 

di Alistair Castagnoli, basketball coach, dottore in Scienze Motorie

Quando penso a Erika Striulli, due cose mi vengono subito in mente: il campo di pallacanestro, che diventa un'estensione della vita. La qualità del lavoro, che attraverso la cura dei dettagli, ti porta dove vuoi arrivare.
Potrei anche parlare di talento, ma per quello ci sono i video su internet e quel talento non è che un modo di esprimere ciò che questa ragazza ha dentro di sé. Tanto.

ALISTAIR CASTAGNOLI: Erika tu hai esordito in serie A2 a 15 anni. Poi? Riassumeresti i momenti salienti della tua carriera che sta continuando ancora.

ERIKA STRIULLI: Sì, l'esordio vero e proprio in un campionato senior è stato in A2 a 15 anni, anche se il reale battesimo era stato l'anno prima in A1 a Venezia nelle partite ufficiali di precampionato.
Riassumere una carriera che è ancora in corsa non è semplice, mi piace pensare che il meglio non sia ancora arrivato.
Tuttavia dovessi fare un quadro generale la riassumerei in quattro blocchi:
- pre 2009
- periodo 2009-2012
- periodo 2012-2017
- periodo 2017 in poi

ALISTAIR CASTAGNOLI: Ce ne parli brevemente?

ERIKA STRIULLI: Il pre 2009 racchiude tutti gli anni giovanili di alto livello, a Venezia e a Udine, nei quali sono arrivate molte soddisfazioni, tra cui gli scudetti e gli europei giovanili. Momenti della mia vita in cui la convinzione di voler fare l'atleta professionista era alta e il desiderio di emergere sovrastava qualsiasi avversità , supportato da un fisico atletico che sembrava indistruttibile.

Gli anni dal 2009 al 2012 hanno rappresentato un momento di grande difficoltà in cui ho dovuto non solo far fronte agli infortuni e ad un corpo che non era più il mio, ma anche ad uno scontro con una realtà ritenuta professionale, ma che nulla aveva in comune con quella che era la mia idea di sport di giovane sognatrice idealista. E' stato un momento molto duro in cui si è smascherata attorno a me la finzione di molte situazioni, che io consideravo reali, che invece veniva nascosta dai successi giovanili.
Tuttavia in quel periodo di totale isolamento e solitudine professionale ho imparato l'arte del sapersela cavare da soli.



Il periodo 2012-2017 lo considero di transizione, in cui ho continuato a cercare la mia dimensione sul campo, a causa di un equilibrio fisico che facevo fatica a trovare.
Sono arrivati altri infortuni importanti ma, soprattutto, permaneva in me quel profondo senso di non appartenenza a quel finto ambiente professionale pieno di compromessi con cui mi dovevo confrontare ogni giorno e che non mi permetteva di godere a pieno dei risultati.
Il 2017 rappresenta il definitivo spartiacque. Per situazioni delle quali non ho più voglia di parlare, a Lucca, all'interno di una stagione che doveva essere la consacrazione definitiva, mi sono ritrovata nuovamente in ginocchio e ho conosciuto gli attacchi di panico all'interno del campo da gioco.
Momenti, attimi, che non dimenticherò mai.
Ho affrontato il problema con l'aiuto della terapia cognitiva comportamentale.
Percorso durato circa 12 mesi e che ha portato uno stravolgimento totale nelle mie scelte di vita.
Sempre mi porterò dentro tutti i momenti di solitudine e delusione vissuti negli anni, ma con grande serenità posso dire che la giocatrice che scende in campo oggi a Cagliari è in assoluto la miglior versione di me stessa. E il margine di crescita è ancora ampio.

ALISTAIR CASTAGNOLI: Hai spiegato, con coraggio, il significato di “resilienza”. 
Torniamo allo Scudetto. Quanto lo hai inseguito? Quanti e quali sacrifici hai dovuto compiere per vincerlo?

ERIKA STRIULLI: Lo Scudetto di Udine è stato, a mio avviso, la ciliegina sulla torta di un lavoro sul settore giovanile durato almeno 10 anni. Il gruppo 90-91 era un gruppo altamente competitivo con giocatrici che già potevano essere protagoniste in A2. Tutte eravamo consapevoli che potevamo farcela.
Parlare di sacrifici a me non piace molto. La vita di un giovane atleta è completamente diversa dalla vita di un giovane qualunque. Non uscivo la sera, non c'erano serate dopo le partite perché dovevo studiare, mai fatte gite con la scuola per non saltare allenamenti, in estate ho visto poco il mare, ero in palestra 6 giorni su 7 dalle 5 alle 6 ore al giorno. Ma non erano sacrifici. Erano scelte consapevoli.
Amavo la mia vita. Avrei considerato un sacrificio andare in gita con la classe e saltare allenamento.

ALISTAIR CASTAGNOLI: (Sorrido, ndr.) Durante le partite delle Finali Nazionali, nei momenti più difficili, a cosa ti aggrappavi per restare con la testa nella gara e gli occhi sul premio finale?

ERIKA STRIULLI: Giocavamo in casa, per cui la pressione si faceva sentire. Le emozioni non sono mancate mai. Io arrivavo a quelle finali nazionali con due europei alle spalle, uno scudetto, 8 finali nazionali e 3 anni di A2 da protagonista. Avevo esperienza e consapevolezza tali che non avevo paura di alcun confronto con le mie coetanee. In più il sangue freddo nei momenti difficili ha sempre fatto parte del mio DNA.

ALISTAIR CASTAGNOLI: Parliamo di preparazione fisica. Tu hai sempre dedicato tantissimo tempo alla preparazione fisica, alla cura del tuo corpo (oltre che della tua mente). Ricordo quando arrivavi al Palagym chiedendomi di lavorare insieme su alcuni concetti che secondo te necessitavano di un miglioramento. Questo, secondo me, ti ha sempre dato un vantaggio atletico che tu sapevi come sfruttare grazie alla tua visione di gioco e alle tue abilità tecniche. Sei d'accordo?

ERIKA STRIULLI: Nel mio essere perfezionista, sono sempre stata un'agonista alla costante e ossessionata ricerca dei miei limiti, fisici e tecnici. Quando gioco uso il corpo, non solo per portare al massimo la bellezza del gesto tecnico, ma anche per accettare e sopportare lo scontro, il contatto fisico con atlete sempre più grandi e più grosse. Spesso sono io a crearlo e a testare chi ho davanti. E' la stessa pallacanestro a richiederlo, e, se non lo accetti, meglio giocare a pallavolo.
Per fare tutto questo ti devi preparare, non si inventa niente.
Ho fatto indigestione dei video sugli allenamenti di Kobe Bryant e la domanda era sempre la stessa: se il giocatore più forte al mondo si allena in modo così intenso e costante, perché non dovrei farlo io?



ALISTAIR CASTAGNOLI: E so che ora fai seguire un percorso analogo al tuo cane, vero?

ERIKA STRIULLI: Sono all'interno del mondo cinofilo da poco più di un anno. E' veramente poco per sentirsi abili e arruolati a guidare un cane in autonomia, qualsiasi sia il tipo di percorso da fare. Faccio parte di un centro cinofilo – MiFidodiTe a Quartu – all'interno del quale ci sono molti settori, tra cui l'educazione, la rieducazione del cane aggressivo, la Pet therapy con bambini speciali, cani da allerta diabete, scuola di formazione cinofila. Il mio desiderio è quello di creare un settore che ci permetta di lavorare, assieme a veterinari e osteopati specializzati, dal punto di vista psico-fisico sul cane partendo proprio dalla valutazione e preparazione fisica. In tal senso vengono inclusi cani che nascono con problematiche fisiche genetiche e che potrebbero avere un riscontro a livello comportamentale, cani post intervento chirurgico, cani sportivi, cani da soccorso e altri.
Sono in piena formazione. Inevitabilmente il mio cane fa un pò da cavia su molte cose.

ALISTAIR CASTAGNOLI: Visto che lo hai citato poco fa: quante volte hai studiato, non letto, "The Mamba Mentality" di Kobe Bryant? Ne hai tratto degli insegnamenti?

ERIKA STRIULLI: Kobe è stato un maestro per molti della mia generazione. Quando uso la parola "maestro" non la considero banalmente riferita alle qualità  tecniche e atletiche dimostrate sul campo. Quanti giocatori NBA possiedono fisico e talento? Tutti. Per questo ritengo che per emergere in un contesto dal livello individuale altissimo come quello americano sia necessario avere mentalmente una marcia in più. Kobe probabilmente ne aveva addirittura 6 o 7. Modo di vivere e approcciare le partite importanti. Capacità  di modificarsi e di non perdere fiducia in sé stesso nell'arco della stessa partita. Sopportazione e gestione dell'infortunio con conseguente abilita  nel trovare un adeguamento tecnico ai limiti fisici, momentanei e non. Cura dei dettagli, attraverso lo studio continuo. Maturazione costante nel rapporto con gli altri. Per me Kobe ha rappresentato tutto questo, che è un qualcosa di più profondo e prezioso rispetto agli 81 punti segnati con Toronto o ai 61 segnati il giorno del suo ritiro.

ALISTAIR CASTAGNOLI: Verissimo! E a proposito di mentalità, quando sei arrivata a Udine ricordo che mi hai subito detto che volevi vincere uno scudetto a Udine. Questo secondo me ti ha sempre spinto a migliorarti ogni singolo giorno. Avere le idee chiare sugli obiettivi è importante?

ERIKA STRIULLI: Certo che avere degli obiettivi è importante. Ma col passare del tempo mi sono sempre più resa conto che la mia mentalità già a 17 anni rappresentava un'eccezione. A fatica trovi giocatrici, persone, consapevoli di ciò che vogliono e con le idee chiare rispetto a ciò che quell'obiettivo comporta. Figurarsi a quell'età , in cui si vive di condizionamenti interni ed esterni.

ALISTAIR CASTAGNOLI: Scudetto, MVP delle Finali Nazionali, miglior quintetto delle Finali Nazionali. Quelle finali ti hanno portato 3 premi. Le differenze a livello personale?

ERIKA STRIULLI: Lo scudetto, come già detto, è stato un premio giusto ad un ambiente che era cresciuto in continuazione per 10 anni e che purtroppo ha perso, nel periodo successivo, tutto quel che di buono quello scudetto aveva portato. I riconoscimenti individuali li considero invece la giusta chiusura di un settore giovanile giocato ad altissimo livello grazie ad una passione per il mio lavoro che le altre non avevano.
Il premio ricevuto da Meneghin è senz'altro il riconoscimento più bello fino ad oggi.



ALISTAIR CASTAGNOLI: Mi fermo per sottolineare un concetto che hai appena espresso e che condivido. La qualità, gli standard di eccellenza e la mentalità che l'ambiente “Sporting Club Udine” aveva costruito negli anni, sono sfumati dopo la vittoria dello Scudetto. Fino ad arrivare al paradosso che tutti quelli che quello Scudetto lo avano costruito dal 1997 al 2009, hanno preferito prendere altre strade, nonostante l'indubbio valore del lavoro che avevano svolto.
Ma torniamo alla squadra.
Noi allenatori parliamo sempre della “squadra” e del “gioco di squadra”, ma in campo non ci andiamo noi. Ci andate voi giocatrici. Tu che sei un playmaker, credi sia facile convincere i singoli a lavorare insieme affinché la squadra esprima più delle individualità ?

ERIKA STRIULLI: Squadra. Quante parole girano attorno a questo concetto. E spesso sono ipocrite e piene di finzione poiché limitate al banale concetto del "passarsi la palla". Come se tutti dovessimo accettare l'idea di essere dei mediocri per far felici gli altri. Per cui il problema te lo rigiro. E' senz'altro difficile convincere l'egoista ad ampliare la propria visuale, ma è molto più difficile (se non impossibile) togliere invidia e gelosia dalla bocca dei mediocri. Soprattutto se parliamo di gruppo femminile.
Ti assicuro che il più grande impedimento nella formazione di una squadra da battaglia non è l'ego, bensì l'invidia.

ALISTAIR CASTAGNOLI: Sono d'accordo. Hai spiegato perfettamente il grande problema dei gruppi femminili. L'invidia. E il 90% degli addetti ai lavori nemmeno se ne rende conto!
I ricordi più belli di quelle Finali Nazionali?

ERIKA STRIULLI: I ricordi sono molti, ma il più bello è stato quello di vedere in tribuna le mie compagne di classe e alcuni miei professori.

ALISTAIR CASTAGNOLI: L'esordio fu terribile. Ti ricordi cosa hai pensato dopo quella sconfitta (contro Athena Basket Roma, ndr.)?

ERIKA STRIULLI: Quella sconfitta la ricordo molto bene. L'emotività ha giocato un brutto scherzo, come spesso accade agli esordi in casa. Poteva essere una sconfitta pericolosa. Invece abbiamo reagito con maturità.

ALISTAIR CASTAGNOLI: C'è qualcuno che vuoi ringraziare più di altri per quella vittoria?

ERIKA STRIULLI: A distanza di 10 anni è dura parlare di ringraziamenti, poiché il filtro attraverso il quale si ricordano le cose le rende completamente diverse. Legati strettamente alla vita professionale il bagaglio che mi hai dato tu, come metodo di lavoro e conoscenza del corpo, nessun preparatore è ancora riuscito a metterlo in discussione (sorrido e la ringrazio, ndr.).
Ciononostante su alcune cose non ci sono dubbi: i ricordi più belli dei miei 4 anni in Friuli sono legati alla scuola, ad una classe meravigliosa con professori che mi hanno spesso aiutata nella programmazione di compiti e interrogazioni grazie ad un leale e sincero rapporto di fiducia. E impossibile non parlare della famiglia Luzzi Conti, Claudio in modo particolare è sempre stato presente nei miei legittimi momenti di sbandamento all'interno di un percorso di vita in cui avevo appena iniziato a conoscermi.

ALISTAIR CASTAGNOLI: Erika, ho terminato le domande e ti ringrazio per la sincerità che hai messo in ogni tua risposta. Prima di chiudere c'è qualcosa che vuoi aggiungere? Un ultimo pensiero?

ERIKA STRIULLI: Il pensiero va alle giovani generazioni, che non solo vivono un'era drammatica, quella dei social, in cui l'immagine che diamo di noi stessi è più importante di ciò che siamo realmente... ma sono anche costretti a confrontarsi con una generazione di adulti che anziché educare alla realtà e alla presa di coscienza sono spesso artefici, anche consapevoli, della distruzione e della rovina del naturale percorso che una giovane mente dovrebbe avere il diritto di fare, ossia quello della conoscenza di sé stessi. Tra alti e bassi. Gioie e dolore. Ingiustizie e soddisfazioni. Ansie e frustrazioni. Paure e coraggio. Responsabilità e svago.
Ossia tutte quelle emozioni che la vita prima o poi ti fa vivere e alle quali spesso i giovani non sono abituati, soprattutto quelle negative.
Il mio augurio è che lo sport possa tornare ad essere quello che la pallacanestro ha rappresentato per me: una palestra di vita sana all'interno della quale ci si mette alla prova, ci si misura con i propri limiti con dignità e coraggio senza cercare qualcuno a cui dare la colpa e senza accettare quei maledetti compromessi che ti vengono imposti dall'alto per poter emergere e diventare "qualcuno". A gli occhi di chi poi... Non si sa, dato che l'unica verità assoluta è quella del lavoro.
Se sei veramente brava non è importante se ti sbattono le porte in faccia, è solo questione di tempo e le porte le prenderai a calci.

ALISTAIR CASTAGNOLI: E' così! E tu ne sei una dimostrazione vivente!

Lo Speciale per il decennale dello Scudetto 2009 continua!
Parte 3: le giocatrici, già pubblicato!

Credits Foto: in attesa

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